Acido Solforico

Oggi voglio raccontarvi di un romanzo letto, ahimè, qualche anno fa, che all’epoca mi colpì molto. La recensione non sarà freschissima, ma le sensazioni sono ancora ben vivide nella mia memoria.

Sto parlando di Acido Solforico, di Amelie Nothomb.
E’ un libro breve, 131 pagine nella mia versione, ma molto toccante.  La trama parla da sé:


In un’era di noia e insoddisfazione nasce “Concentramento”, un reality show brutale e disumano che ripresenta gli orrori dei campi di Concentramento tedeschi della Seconda Guerra Mondiale. I concorrenti, o per meglio dire i prigionieri, vengono prelevati casualmente dalle strade di Parigi, caricati su carri bestiame e rinchiusi in uno stabile sorvegliato da telecamere, spogliati dei propri averi e del proprio nome, sostituito con un numero di serie.
Non c’è niente di artefatto in questo programma televisivo, né i soprusi, né i lavori forzati, né tantomeno l’eliminazione dei prigionieri. Il pubblico inorridisce ma rimane incollato allo schermo, gli ascolti sono da record, l’audience sale vertiginosamente nel momento in cui gli spettatori devono eliminare, tramite televoto, uno dei concorrenti…
In mezzo a tutto ciò si dipana la storia di Pannonique, una ragazza come tante che si ritrova a lottare per sopravvivere nel campo. Le si contrappone Zdena, scelta invece per il ruolo di Kapò, che si invaghisce della ragazza. Pannonique diviene ben presto l’eroina del campo, grazie ai suoi silenzi, al suo contegno e alla sua aria dignitosa e ferma; Zdena invece è tacciata come la più perfida e stupida tra le guardie. Come trovare la via per fermare tale abominio?

“Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo”

Questa è la prima frase del romanzo, e  già di per sé induce una serie di riflessioni sul mondo in cui viviamo. La televisione è un personaggio fin troppo presente nelle nostre giornate. Assorbiamo i contenuti che vengono trasmessi in modo quasi passivo, siamo abituati alla violenza, a spettacoli di dubbio gusto, abbiamo bisogno di personaggi da odiare e storie da commentare, come testimonia il fiorire degli innumerevoli reality show e talk show in tv. L’uomo, mediamente, si esalta di fronte a un litigio, ama commentare la vita e i problemi altrui per distogliere il pensiero dai propri, vuole spettacoli che coinvolgano emotivamente.
Ed ecco che nasce la domanda provocatoria che ci pone l’autrice tra le righe: E’ tanto assurdo pensare che, alla luce di ciò, si possa arrivare alla commercializzazione del dolore? Rendendolo uno spettacolo accessibile a tutti, un’occasione perfetta per indignarsi, urlare, sfogarsi?

Ovviamente ciò che viene narrato nel romanzo è una chiara estremizzazione distopica, che tutti ci auguriamo non venga mai nemmeno concepita, tuttavia non è totalmente avulsa da ciò che ci viene propinato giornalmente.
Uno dei tanti temi importanti affrontati nel libro è l’importanza del nome, in quanto nucleo dell’ identità di una persona. Da un lato, una persona libera potrebbe obiettare che l’essere non risiede in quelle poche lettere che vanno a formare il proprio nome, ma un prigioniero, spogliato di tutto, compresa la dignità, si aggrappa al proprio nome come un’ancora di salvezza, come qualcosa che lo eleva dall’essere considerato una bestia da macello, o un semplice oggetto marchiato con un numero di serie. Il nome stesso è metafora di umanità, e diventa un’informazione talmente potente da salvare persino una vita umana.

Zdena e Pannonique sono personaggi complessi. Si contrappongono in modo quasi perfetto, per aspetto e per carattere. La prima ha fatto della ripugnanza e del disgusto il fulcro della propria vita, si intuisce che non abbia mai brillato in niente fino a quel momento. Anonima, spesso presa in giro, riversa la cattiveria accumulata sui prigionieri, sentendosi finalmente protagonista. L’ ossessione per Pannonique, che rappresenta il bene, la bellezza, la purezza, le farà esplorare lati nascosti di sé, dai più negativi e animaleschi ai sentimenti puri, che intaccheranno pian piano la sua corazza di egoismo.
Pannonique, d’altra parte, dimostra sì di essere forte e di saper dare speranza agli altri prigionieri, salvandoli in più di un’occasione, ma anche come la sua notorietà possa essere un’arma a doppio taglio: è lei, infatti, la detenuta che fa alzare l’audience alle stelle, colei che la prima volta che apre bocca scatena un’ondata di stupore e grossi titoli sul giornale. I produttori si affidano alle sue gesta per far crescere sempre di più il numero di spettatori del programma.
Insieme alle due ragazze si definiscono le storie di altri detenuti, come EPJ 327, professore innamorato di Pannonique, MDA 802, giovane donna che stringerà amicizia con la protagonista, la vecchia perfida e la ragazzina dodicenne, risparmiate misteriosamente dallo sterminio iniziale di anziani e bambini.


Questo romanzo, provocatorio, amaro, intenso, mi colpisce ancora a distanza di anni. Ne consiglio la lettura, anche ai ragazzi delle superiori. Da leggere tutto d’un fiato, ma con la mente accesa, in modo da coglierne tutte le sfumature e tutti i messaggi nascosti tra le righe.

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