La ragazza con l'orecchino di perla
In alcuni romanzi si trova la poesia in pochi semplici
dettagli, è sufficiente una parola al punto giusto, un accenno, e la scena si
fa perfetta. E’ questo il caso de “La ragazza con l’orecchino di perla”,
romanzo di Tracy Chevalier, ispirato al famoso capolavoro pittorico di Johannes
Vermeer.
E’ proprio la storia del pittore che viene raccontata
in queste pagine, insieme a quella della protagonista del ritratto, una ragazza
a servizio della famiglia Vermeer.
Trama:
Griet
è una ragazza di modeste origini, figlia di un decoratore di piastrelle
diventato cieco. Ella vive una vita
tranquilla insieme alla famiglia nel
quartiere protestante di Delft, nell’Olanda del Seicento.
La
giovane ha solo sedici anni quando la madre la informa che dal giorno dopo si dovrà
trasferire in casa di una facoltosa famiglia del paese, i Vermeer, per lavorare
come donna di servizio. Inizialmente Griet fatica a sopportare la sua nuova
condizione, non tanto per il lavoro impartitole quanto per la mancanza che
sente verso la sua famiglia, in particolare nei confronti del fratello Frans e
della sorellina Agnes, che può vedere soltanto la domenica.
Tuttavia,
Griet mostra una grande capacità di adattamento, e si fa notare dal pittore
grazie all’innata curiosità, alla bellezza e alla propensione verso l’arte.
Vermeer
ritrova l’ispirazione, e affida alla ragazza un compito fondamentale quanto
delicato: la pulizia del suo atelier, alla fine della quale nulla deve essere
stato spostato o modificato. Ciò scatena la gelosia sia della moglie Catharina,
donna volubile e capricciosa, sia della serva Tanneke, che lavora per la
famiglia da molti anni e a cui è sempre stato proibito l’accesso all’atelier.
La
vita della ragazza si complica quando il pittore, spinto dal suo mecenate,
decide di fare un ritratto della fanciulla, instaurando un rapporto di
pericolosa complicità che rischia di minare la tranquillità casalinga. E
nemmeno fuori delle mura domestiche Griet passa inosservata, come dimostrano le
attenzioni che le riserva il giovane macellaio Pieter. Ma l’amore per l’arte
prevale su tutto, dando alla ragazza il coraggio di perseverare sulla propria
strada, non curandosi dell’invidia e delle maldicenze.
Curioso come da un ritratto possa nascere un’intera
storia. L’immaginazione dell’uomo è potente, crea mondi partendo da un
dettaglio, è questo che mi è sempre piaciuto della lettura.
In
questo caso il tutto nasce dal quadro di Vermeer, da quella ragazza bella e
eterea con lo sguardo intenso e le labbra dischiuse. Chi è? Che tipo di
rapporto avrà avuto col pittore? Tracy Chevalier risponde a suo modo a questi
quesiti.
Griet
è cresciuta in una famiglia semplice, abituata da sempre a dare una mano con i
lavori di casa, si è fatta una ragazza coscienziosa, con la testa sulle spalle.
Tuttavia Griet ha uno speciale intuito che le fa scorgere dettagli al di là
della semplice evidenza. Lo mostra subito all’inizio del romanzo, quando
dispone le verdure che sta tagliando in modo del tutto particolare, dividendole
per colore e disponendole sul tagliere secondo un ordine cromatico ben preciso,
ma non studiato. Vermeer si accorge immediatamente di questa qualità nella
ragazza, affidandole di conseguenza la pulizia del suo amato atelier. Ancora
una volta, Griet si dimostra all’altezza del compito assegnatole, inventando
ingegnosi modi per non spostare di nemmeno un millimetro gli oggetti presenti
nella stanza, pur pulendo meticolosamente ogni superficie possibile, per non
modificare l’aspetto della stanza, ritratta dal pittore come sfondo in alcuni
suoi dipinti.
Vermeer
è un personaggio difficile, probabilmente si sente estraneo alla vita della sua
casa, in cui predomina la presenza della moglie Catharina e della severa
suocera Maria Thins, la vera padrona di casa. Il pittore passa gran parte del
suo tempo nel suo atelier, è schivo, di poche parole, e nonostante ciò riesce a
essere il personaggio più gradevole della casa, escludendo ovviamente le
bambine.
La
scrittura è fluida, lo stile è adatto a una narrazione in prima persona,
piuttosto schietto, lineare. La scrittrice descrive luoghi e situazioni con
pennellate decise e sicure, delineando il giusto numero di particolari, in modo
da guidare il lettore verso un ben preciso stato d’animo. Succede per esempio
quando entra in gioco il personaggio di Pieter, il bel figlio del macellaio da
cui solitamente si serve la famiglia Vermeer, che corteggia Griet lusingandola,
ma allo stesso tempo le provoca una sorta di repulsione, a causa del sangue
delle carni crude che tratta giornalmente, e delle mosche che si aggirano intorno
al banco.
E
come non innamorarsi della delicata arte della pittura quando la Chevalier
descrive con sapienza la preparazione dei colori, che Vermeer insegna a Griet,
trovandola un’allieva attenta e precisa?
Non
è da sottovalutare nemmeno il fatto che il racconto ci fa conoscere una realtà
storica e geografica a noi estranea con tutti i suoi usi e contraddizioni, come
la divisione netta tra quartieri cattolici e protestanti, le gerarchie e i
codici di comportamento da rispettare tra persone di ceti diversi, i mestieri,
le malattie.
Insomma,
in conclusione posso dire che consiglio caldamente di leggere questo romanzo,
sempre se vi piace il genere. Vi arricchirà di atmosfere uniche e di
un’infinita dolcezza.
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