Ciò che Inferno non è
Buongiorno
a tutti! Anche se buongiorno non è, qui da me si sta scatenando un temporale
coi fiocchi, e solo l’idea di uscire e andare a lezione tra poco mi fa venire i
brividi… Ma veniamo a noi!
Il libro di
cui vi parlo oggi è “Ciò che inferno non
è”, di Alessandro d’Avenia,. Uscito nelle librerie il 28 ottobre 2014, è finito
nelle mie mani quasi subito. Conoscevo già l’autore perché ho iniziato a
leggerlo sin dall’uscita del suo primo romanzo, che aveva catturato la mia
attenzione quasi per caso. Allora ero una novella universitaria, avevo passato
da poco il periodo tormentato del liceo, ero poco più grande dei personaggi
descritti, ed è stato un bel viaggio leggere e ritrovarmi in sensazioni che
avevo provato, che stavo e sto tuttora provando.
Ciò che
inferno non è si inquadra sempre in questo genere, adolescenti che cercano la
propria strada, adulti indifferenti, modelli da imitare, buoni e cattivi
esempi, professori che vogliono insegnare qualcosa di più della solita lezione
scolastica:
Federico è nato e cresciuto in un
quartiere benestante di Palermo, frequenta il liceo Classico, vive in un
bell’appartamento, e entro poche settimane partirà per Oxford per un
viaggio-studio, come si confà a un giovane promettente come lui.
Padre Pino Puglisi, soprannominato
dai suoi allievi 3P, insegna religione al liceo Classico. Amato dagli studenti,
fuori dalle mura scolastiche si prodiga ad aiutare le famiglie di Brancaccio,
quartiere problematico di Palermo, dove la criminalità è all’ordine del giorno,
la povertà a ogni angolo, i bambini
imparano prima a rubare che a fare le addizioni.
Quando padre Puglisi chiede a
Federico di andarlo a aiutare con i bambini di Brancaccio, il ragazzo è dubbioso,
ma si lascia convincere. Lo scontro con una realtà così diversa da quella in
cui ha sempre vissuto, ma così vicina geograficamente, scuote nel profondo
Federico, che inizia a vedere il mondo con occhi diversi.
Ci sono due cose che mi hanno
colpito in particolar modo di questo romanzo:
- la profondità con cui viene
trattato un tema delicato come la lotta alla mafia, sebbene osservato da un
punto di vista insolito, quello di un ragazzo borghese che si ritrova quasi
fortuitamente ad affrontare un mondo di cui a mala pena conosceva l’esistenza.
-la scrittura di d’Avenia. Mi rendo
conto che possa piacere e non piacere, è una scrittura densa, ricca di
metafore, di immagini poetiche, di citazioni, è una scrittura degna di uno
scrittore letterato. Io la trovo stupenda, appassionante, capace di descrivere
un personaggio o un paesaggio in modo talmente calzante da dare l’impressione
di averlo davanti ai propri occhi.
Il tema del romanzo è sicuramente
visto e rivisto, la mafia e i suoi orrori, la povertà, la città di Palermo con
le sue contraddizioni. L’originalità sta nello sviluppo. Il vero fulcro del
romanzo è Don Pino Puglisi, parroco di San Gaetano a Brancaccio, che l’autore
ha avuto come insegnante al liceo e ricorda e descrive come una persona con un
cuore immenso e una personalità decisa.
Don Pino ha dedicato la sua vita ad aiutare
la gente di Brancaccio, schiacciata dalla presenza della criminalità
organizzata. Il prete vuole dare coraggio alla gente, spingerla a ribellarsi
per quanto è possibile e non sottostare alle sordide regole impartite dagli
scagnozzi di Cosa Nostra. Vuole trasmettere ai bambini, fin dalla più tenera
età, un messaggio di speranza, per fargli capire che non esiste solo il mondo
in cui loro sfortunati si sono ritrovati a vivere, ma si può aspirare a una
comunità in cui la legalità è la norma e il criminale è il diverso. Vuole
gridare ai giovani di credere nel futuro, di non gettare la spugna, di non fare
finta di non vedere.
Conosciamo quindi i “ragazzi di Don
Pino”, Totò, Francesco, Riccardo, Lucia, Serena, Maria. Un ragazzino troppo
sveglio, un disilluso, un sognatore, ragazze e bambine senza più nessuno, o con
troppe bocche da sfamare, ragazzi e ragazze che non rinunciano a sognare, ma
solo un po’, perché poi l’impatto con la realtà non sia troppo duro.
E poi c’è Federico, giovane studente un po' poeta
che vive all’ombra del fratello Manfredi, che ammira ma dal quale
contemporaneamente si vuole distinguere. Ama Petrarca, specialmente per la sua
abilità di giocare con le parole, di sviscerarle, cercarne sempre di nuove e
accostarle in maniera talvolta canonica e talvolta audace. Federico emerge
dalla sua quotidianità ovattata, aprendo gli occhi inorriditi sul quartiere
controllato da Cosa Nostra. Eppure non è tutto inferno in quel rione maledetto.
Non è inferno Lucia, bella, dolce, coraggiosa, che sogna di aiutare la sua
gente, che non vuole fuggire ma lottare.
Il suo personaggio mi piace non solo
perché cresce durante il romanzo, mostrando una forza e una sensibilità non
comuni, ma anche perché riesce a contagiare con la sua voglia di aiutare il
prossimo anche altre persone, come Manfredi e la sua ragazza.
E’ il caso poi di spendere qualche
parola sui personaggi negativi, i malavitosi di Cosa Nostra. Essi non vengono
mai nominati col loro vero nome, ma sempre tramite soprannomi, che ammantano
queste figure di ancor più inquietudine.
Il più emblematico è, a mio parere,
“Il Cacciatore”. Spietato assassino, braccio destro di Madre Natura, boss
mafioso, egli esegue qualsiasi lavoro con freddezza. Considera il suo lavoro da
killer professionista come un impiego qualunque, che gli permette di far vivere
la sua famiglia negli agi. E’ freddo e posato, non si esalta con la violenza
come il suo compare Nuccio, bensì ha calato un velo di indifferenza nei
confronti della vita altrui.
Leggendo questo romanzo vi
ritroverete invischiati in splendide descrizioni di luoghi e situazioni, in
ogni pagina potrete assaporare un po’ di poesia, che sia in una parola, in una riflessione
o in un dialogo appassionato. Non so perché, ma io leggendo ho avuto
l’impressione di avere tra le mani qualcosa di prezioso.
Per farvi un esempio di ciò di cui
vi sto parlando, ecco un estratto casuale, tratto ad apertura di libro:
Il
mare la notte desidera l’abbraccio del porto e lo impregna di sé come in un
rito amoroso, in cui le mani sembrano moltiplicarsi. L’odore dei cespugli di
gelsomino si mescola alla tenebra, più intenso se la vampa del giorno appena
spento è stata maggiore. Lungo una strada solitaria si scorgono due sagome
scolorite.
Sono righe totalmente casuali, prese
da una pagina qualsiasi, vi fidate? Credo di si, anche perché se avessi voluto
barare avrei scelto passi ben più significativi, e ce n’è tanti. Eppure in
queste poche vivide righe ho l’impressione di stare anch’io passeggiando per
una strada di Palermo, con il mare che fa da sottofondo.
Finisco questo poema lasciandovi
qualche info sull’autore, e un caldo invito a sfogliare qualcosa di suo, se vi
va….
Alessandro
d’Avenia: nato a Palermo nel 1977, terzo di sei figli, frequenta il Liceo
classico Vittorio Emanuele, scuola in cui insegna padre Pino Puglisi,
personaggio che lo influenzerà notevolmente in futuro.
Si laurea
in lettere classiche alla Sapienza di Roma, conseguendo successivamente il
dottorato di ricerca in letteratura greca. Sin dall’inizio della sua carriera,
predilige l’insegnamento alla ricerca, e passa dall’insegnare italiano alle
medie a professore di latino e greco al liceo.
Il suo romanzo d’esordio è “Bianca
come il latte, rossa come il sangue”, che ha successo a livello internazionale
e da cui viene anche tratto un film. Successivamente scrive “Cose che nessuno
sa”, uscito nel 2011, e da ultimo “Ciò che inferno non è”.
I suoi romanzi hanno sempre come protagonisti
dei ragazzi in età liceale, che vengono tratteggiati con tutte le loro
contraddizioni e immaturità, che crescono durante la narrazione, vivono
l’adolescenza in modo travagliato come ogni adolescente nella storia. In tanti
si riconosceranno in quei personaggi, altri forse potranno apprezzarne la
veridicità solo guardandoli con occhi più adulti.
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