Dance Dance Dance, Haruki Murakami
Settembre è sempre stato un mese
intenso, di rientri, progetti da realizzare, esami, persone da
ritrovare. Tra le tante cose da fare e il computer in riparazione, il
tempo da dedicare al blog è stato veramente scarso. Tuttavia sono
riuscita a preparare un paio di articoli alla vecchia maniera (carta
e penna, che soddisfazione), tanto per non perdere l'allenamento.
Stasera rispolvero una vecchia conoscenza, Haruki Murakami, parlando di Dance Dance Dance, una delle pietre miliari della sua intera produzione.
Lo stile di Murakami è inconfondibile e inimitabile, questo è un dato di fatto. L'autore si barcamena attraverso ambientazioni al limite col surreale (e anzi, spesso quel limite lo supera ampiamente), descrivendo minuziosamente personaggi, luoghi, stati d'animo, ma facendoci cogliere solo l'essenziale, ciò che lui stesso ritiene importante e caratterizzante, non una virgola di più.
In questo romanzo lo scrittore giapponese dimostra tutta la sua abilità, raggiungendo una delle vette più alte della sua carriera.
Dalla copertina:
Stasera rispolvero una vecchia conoscenza, Haruki Murakami, parlando di Dance Dance Dance, una delle pietre miliari della sua intera produzione.
Lo stile di Murakami è inconfondibile e inimitabile, questo è un dato di fatto. L'autore si barcamena attraverso ambientazioni al limite col surreale (e anzi, spesso quel limite lo supera ampiamente), descrivendo minuziosamente personaggi, luoghi, stati d'animo, ma facendoci cogliere solo l'essenziale, ciò che lui stesso ritiene importante e caratterizzante, non una virgola di più.
In questo romanzo lo scrittore giapponese dimostra tutta la sua abilità, raggiungendo una delle vette più alte della sua carriera.
Dalla copertina:
Il
protagonista, un giornalista freelance costretto dalle circostanze a
improvvisarsi detective, si muove tra cadaveri veri e presunti
attraverso una Tokyo iperrealistica e notturna, una Sapporo resa
ovattata da una nevicata perenne e la tranquillità illusoria
dell'antica cittadina di Hakone. Una giovane ragazza dotata di poteri
paranormali lo accompagna nella sua ricerca. Ma troviamo anche una
receptionist troppo nervosa, un attore dal fascino irresistibile, un
poeta con un braccio solo; e un salotto, a Honolulu, dove sei
scheletri guardano la televisione.
Esiste
un collegamento fra tutte queste cose, un senso anche per chi ha
perso l'orientamento. L'unico modo per trovarlo è non avere troppa
paura, e un passo dopo l'altro continuare a danzare.
Già
leggendo questa brevissima sintesi, ci si può rendere conto della
stranezza di questo romanzo. La narrazione si avvia con una
descrizione dettagliata di un albergo, l'Albergo del Delfino,
elemento ricorrente in tutto il libro, sviluppato e sviscerato in
modo quasi maniacale. Che sia in sogno, nella realtà o in un ricordo
passato, l'Albergo del Delfino, o Dolphin Hotel, è il punto di
partenza e di arrivo di tutto, è ciò che collega diversi personaggi
portandoli a conoscersi e interagire. E' una sorta di
ponte tra
realtà diverse, sospeso in una dimensione a sé stante. Se ne
potrebbero in realtà dare interpretazioni disparate e fantasiose, da
quelle più razionali alle più mistiche e soprannaturali.
Il
protagonista, nel suo viaggio a Sapporo dettato da un impulso
improvviso di ricongiungimento col passato, incontra delle
personalità interessanti e vive esperienze che metteranno in moto
tutta la serie di eventi successivi, che sconvolgeranno la sua
pacifica esistenza.
Yumiyoshi,
la nervosa receptionist dell'albergo, suscita subito interesse in
lui, in particolare dopo l'esperienza paranormale che gli confida di
aver vissuto proprio all'interno dell'hotel. La ragazza, in ogni
caso, diventa uno dei pochi elementi fermi e razionali della vita del
giornalista.
Grazie
a Yumiyoshi l'uomo fa la conoscenza di Yuki, una ragazzina ribelle e
con una famiglia troppo particolare e sconclusionata, dotata di
poteri paranormali che le complicano ulteriormente la vita. Il
protagonista si affeziona pian piano alla ragazzina, seguendola nei
suoi numerosi viaggi, dalle trasferte per andare a trovare i
genitori, fino a un viaggio tutto spesato a Honolulu.
E'
doveroso, a questo punto, aprire una parentesi: avrete notato che
finora mi sono riferita al personaggio principale come “l'uomo”,
“il giornalista”, “il protagonista”. Se vi siete chiesti se è
un caso, una dimenticanza o una particolare forma di sadismo, vi
rispondo subito: no, o almeno non da parte mia. Essendo il romanzo
scritto in prima persona, grazie a furbi espedienti dell'autore non
veniamo mai a conoscenza del nome del protagonista, che viene sempre
interpellato in modo impersonale. E' una cosa che mi ha fatto
ammattire. A metà libro mi sono persino chiesta se per disattenzione
avessi tralasciato delle informazioni. Invece, semplicemente, non ci
è concesso di conoscere l'identità del personaggio narrante Ne
conosciamo l'impiego, le esperienze passate, il luogo in cui vive, le
persone di cui si circonda, ma non il nome.
Il
che mi porta a una riflessione: è davvero così importante un nome?
Ci dice qualcosa in più sulla persona a cui appartiene oppure è un
semplice riconoscimento giuridico?
Mi
ricordo un esperimento che ci fece fare un'insegnante del Liceo: ci
disse “scrivete su un foglio chi siete”. Poi leggemmo alla classe
ognuno il proprio foglietto. Avevano tutti più o meno la solita
struttura, nome, età, le proprie passioni, gli hobby, le qualità e
i difetti. Infine l'insegnante ci chiese: “Come mai avete scritto
il vostro nome? Cosa dice di voi in più?”
Ci
ho riflettuto spesso negli anni, e quest'occasione mi sembra adatta
per rispolverare alcune di quelle riflessioni. Un nome,
effettivamente, non dice nulla di ciò che siamo, è vero, non ha un
significato recondito in sé che definisca ogni nostra sfaccettatura.
Eppure se immaginassi un mondo senza nomi non vedrei altro che il
caos, perchè ogni oggetto, persona, animale non sarebbe più
definito da un unica parola ma da molteplici, creando
un'incomunicabilità totale.
E
se fossero i nomi propri il problema? Bene, eliminiamoli. Siamo
appena diventati tutti esseri umani, di sesso maschile o femminile,
caratterizzati da determinate qualità, parentele, abilità, aspetto
fisico. In mezzo a un gruppo di persone saremmo Mister Nessuno.
Eppure, forse, ci conosceremmo in maniera più vera di quanto
facciamo ora, poiché per distinguere una persona da un'altra
sarebbero necessarie molte più informazioni.
In
un romanzo, però, la componente visiva non esiste, per cui essere
senza nome equivale a essere un fantasma, a essere tutti o nessuno, a
poter ricoprire ruoli infiniti e potersi dirigere in qualunque
direzione... o almeno questa è l'impressione che ho avuto io, di una
persona quasi immaginaria, dal percorso instabile e mutevole,
imprevedibile.
Ma
torniamo a noi, ho già divagato abbastanza. A Sapporo facciamo la
conoscenza, anche se virtualmente, di un altro personaggio chiave,
Gotanda, vecchio amico del nostro Mister X, attore frustrato che
compare in un film romantico insieme a una vecchia fiamma del
protagonista, Kiki. Kiki è scomparsa dalla vita di Mister X
all'improvviso, dopo una storia fugace ma intensa, lasciandolo in uno
stato di grande inquietudine. Sarà proprio la ricerca disperata del
protagonista, che non si da pace deciso a ritrovare la sua Kiki, a
spingerlo a mettersi in contatto con Gotanda dopo tanti anni. Egli,
dopo aver raccontato la sua vita ed essersi sfogato per tutti i suoi
problemi, coinvolgerà il giornalista nei lussi della sua vita da
attore, facendogli assaggiare alcuni dei suoi privilegi.
L'aspetto
interessante del romanzo è notare come l'autore riesca a far
quadrare insieme ingredienti all'apparenza incompatibili, con un
estro e una fantasia mai esagerati, in equilibrio perfetto tra realtà
e surrealismo. Il risultato è un intreccio per niente banale, che
risucchia l'attenzione del lettore fino alla fine, servendosi di
grandi metafore, personaggi ambigui e un ritmo incalzante ma non
affrettato.
Lodevoli
sono, infine, i continui riferimenti musicali, ricorrenti in ogni
romanzo di Murakami, che qui spaziano dal rock, al blues, al pop,
dando un tocco di raffinatezza persino a scenari di vita comune.
Un
consiglio? Non leggetelo come primo romanzo di questo autore.
Lasciatevi prima stregare dalle sue atmosfere, dalla scrittura
schietta, dai personaggi complessi che albergano i suoi romanzi, poi
rivolgetevi a Dance, Dance, Dance con animo consapevole ma libero da
preconcetti. Vedrete che magia.
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